Hasna Doubiani, classe 1993, è una ragazza di origini marocchine nata a Verona. Con lo pseudonimo di La Hasna si dedica da qualche anno ad un progetto r’n’b dalle sonorità particolari, più internazionali che italiane.
In un gelido pomeriggio milanese, davanti ad un caffè, abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei.
- Ciao Hasna. Domanda banale, ma di rito: ti va di parlare brevemente del tuo progetto musicale?
- Ciao! Sì, è nato all’incirca cinque anni fa, ed è composto da me come autrice, e dal mio producer, Salam Carther, che invece si occupa delle strumentali. È nato quasi per caso, e la nostra è una strana unione: io vengo da un mood molto jazz, blues, con radici rock e rockabilly, mentre lui viene più che altro da sonorità hip-hop, trap, anche se è comunque molto eclettico visto che ascolta altri generi. Quindi abbiamo provato a mettere in piedi questo progetto, coinvolgendo appunto varie sfumature musicali, e incanalandolo in un mood che fosse per così dire soft.
- Come vi siete conosciuti? Se non sbaglio Salam si è occupato anche di girare alcuni dei tuoi video.
- Io e lui ci siamo conosciuti al lavoro, in un ambiente esterno a quello della musica: un negozio di abbigliamento. Parlando abbiamo deciso di mettere in piedi questo progetto, e la prima traccia che abbiamo registrato è andata bene. Poi un altro nostro collega di lavoro, che è un sound engineer, ci ha aiutati. Diciamo che per quanto riguarda l’aspetto dei video, è una cosa “fatta in casa”. Abbiamo girato quello di “Senorita” nel sud dell’Inghilterra, a Brighton – tutta opera di Salam Carther, molto low budget. Lui comunque ha una conoscenza di videomaking, visto che in passato ha lavorato in America per video di altri artisti. È molto versatile, in generale.
- Ascoltando le canzoni che hai pubblicato negli ultimi due anni, ho notato che il fulcro rimane l’r’n’b, ma caratterizzato alternativamente da varie sfumature musicali. Nel caso di “Sesso con me”, ad esempio, il pezzo originale è stato remixato con sonorità uk garage – che, tra l’altro, mi hanno ricordato Jorja Smith. In quale modo sei stata influenzata dalla scena inglese?
- Sono rimasta influenzata dalla scena inglese poiché ho vissuto cinque anni a Londra. Quindi la maggior parte delle mie serate le ho trascorse ad ascoltare uk garage con i miei colleghi, oppure andando ad eventi del genere. D’altronde in Inghilterra vanno molto, come dicevo, generi tipo lo uk garage, il grime, l’afro bashment, o anche il soul con venature garage. Perciò inevitabilmente tutto questo mi ha condizionato, e allo stesso tempo ho sempre desiderato fare qualcosa di molto 80’s, ma in chiave anni Zero. Volevo riproporre questa cosa in Italia – con “Sesso con me” – e vedere quale sarebbe stata la reazione, visto che si tratta di un prodotto particolare. Questa è comunque una bonus track, ma probabilmente in futuro usciranno altre canzoni con sonorità simili.
- Secondo te il pubblico di ascoltatori r’n’b/rap è pronto per ascoltare qualcosa di diverso dal solito?
- Insomma, dato che oggi è tutto mainstream, grazie a canali come Youtube, ecc. credo che, se fatte con frequenza, anche dal punto di vista live, questo genere di cose possano piacere. La nostra generazione è sempre alla ricerca di qualcosa che suoni nuovo, fresco, quindi se si parla di uk garage, perché no?
- Circa tre anni fa hai fatto uscire un EP cantato interamente in inglese, “Deep”. Come mai successivamente sei passata alla lingua italiana?
- Prima di andarmene dall’Italia, nel 2014, ho deciso di intraprendere la carriera da cantante, e ho capito che nel nostro paese non riuscivo a trovare i canali giusti – anche perché non sapevo come cantare in italiano, a livello proprio fonetico, lessicale… ne avevo il terrore. Il fatto è che, tra l’altro, temevo di non saper scrivere testi in italiano, ma con il tempo mi sono ricreduta. Passato qualche anno in Inghilterra, ho conosciuto diverse persone, e tra queste vorrei nominare Khaled – fondatore di “Real Talk”, con Bosca – che mi ha aiutato molto, e per un certo periodo è stato un mentore, un consigliere – shout out to Khaled! Lui mi ha consigliato, appunto, di cantare in italiano, e discutendone con Salam abbiamo deciso di provarci, visto che a nostro parere c’era un gap in Italia che non era ancora stato coperto, così abbiamo pensato di provare a colmarlo. Successivamente mi sono trasferita di nuovo in Italia, da otto mesi, qui a Milano, e per ora il progetto sta andando nel verso giusto.
- Come consideri il modo in cui la cosiddetta “black culture” si è oggi diffusa nel nostro paese, attraverso tanti rapper e cantanti r’n’b italiani?
- Per quanto riguarda la black culture nel nostro paese, ecco, da un certo punto di vista tocco un tasto dolente… L’r’n’b c’è da tanto tempo in Italia, ma è sempre stato interpretato da artisti italiani, e di conseguenza il messaggio non è mai stato veicolato nella sua completezza, dato che spesso sfociava più che altro nel pop. Le poche persone che fanno r’n’b, e che appartengono in toto alla black culture, si fanno molto influenzare dalla cultura musicale italiana, di conseguenza anche in questo caso spesso il messaggio non viene veicolato nella sua totalità. In entrambi i sensi c’è sempre qualcosa che si perde, e non so se sia una limitazione culturale, o una questione che riguarda piuttosto il “non rischiare”, il non lasciarsi andare totalmente, senza alcuna barriera mentale – tante persone che conosco non stanno rischiando.In realtà è un argomento estremamente complesso, ma sono fiduciosa che nell’immediato futuro la situazione si evolverà, seguendo quello che già da tempo succede in altri paesi.
- In “Blokko” cominci cantando: “Sono marocchina e italiana…”. Si ripropone quindi un po’ il tema dei musicisti italiani di seconda generazione, oggi molto discusso. Come ti poni in tal senso?
- In realtà “Blokko”, nelle mie intenzioni, è una canzone molto ironica. Ovviamente non sono la regina del “blocco”, ma in un contesto dove, anche nel passato, ho vissuto non dico discriminazioni razziali, ma in ogni caso molte restrizioni sulla mia libertà di comportarmi – come non avere determinati amici a causa della mia nazionalità – io in questa canzone non voglio tanto parlare delle mie origini, quanto ironizzare piuttosto sul fatto che in Italia non esistano “regine del blocco”, anche se tutte vorrebbero esserlo. Quindi, per sfatare questo mito, ho detto: “Ragazze, inutile che ci provate, la regina sono io, che sono anche marocchina!”. A tal proposito, ho letto qualche commento discriminatorio sul fatto che io sia marocchina. Ma se i media arriveranno a parlare di certe questioni, non m’interessa. Forse non sono ancora così tanto esposta, poiché sono un emergente, e la maggior parte di chi mi ascolta ha più o meno la mia età. Se un giorno succederà, in ogni caso, non gli darò peso, ma la considererò come promozione. Per ora non sono andata incontro a questa cosa.
- Mi ha incuriosito la canzone “Perfect Girl” in cui, dialogando con un ipotetico uomo, sembri esprimergli le tue insicurezze riguardanti la vostra relazione, promettendogli persino che per lui sarai “perfetta”…
- Volevo rappresentare, anche per quanto riguarda il video che accompagna la canzone, una donna che tende a voler essere perfetta, appunto, nei confronti di un uomo che invece non vuole saperne di lei. Oggi vediamo spesso ragazze che hanno un make-up senza sbavature, un Instagram da paura, vestite benissimo, ma si scopre poi che, nei confronti del giudizio di un uomo, hanno una sorta di dipendenza quasi patologica. Nel video ho voluto rappresentare una ragazza che, nei confronti del suo compagno, si comporta in maniera instabile, esitante. In questo caso ho preso ispirazione dalle storie di altri artisti, come ad esempio Edith Piaf, che a livello musicale non ha molte affinità con me, eppure la sua storia mi ha influenzato molto – la sua come quella di tanti altri.
- Mi ha sorpreso scoprire che hai lavorato con Esa, una leggenda del rap nostrano. Com’è nata questa collaborazione?
- È una storia un po’ complicata. Diciamo che ai tempi in cui vivevo dalle parti di Vicenza, prima di trasferirmi a Londra, avevo il mio gruppetto di amici che erano writers, rappers, con cui partecipavo di frequente a qualche cypher in giro per l’Italia – Verona, Bologna… La cosa strana è che io, nella old school, non ero mai “entrata” al cento per cento, solo che questi amici me l’hanno fatta conoscere, dandomi modo di ascoltare rapper come, appunto, Esa… Il fatto è che non ricordo precisamente quando l’ho incontrato di persona! Con probabilità è successo qui a Milano, conoscendo alcuni suoi amici, e jammando a casa di un socio di Esa ce ne siamo venuti fuori con la canzone “Vento di libertà”. Onestamente non pensavo entrasse a far parte del suo vinile, “King Divano”, una compilation di vari artisti tra cui Shorty. Abbiamo pure girato un video insieme, ed è stata una piccola bella avventura.
- Visto che si parla di rap “old school”, qual è stato il tuo approccio verso la cultura hip-hop del nostro paese?
- Io non sono cresciuta con l’hip-hop italiano, l’ho scoperto tardi grazie agli amici che mi portavano alle jam. All’inizio non pensavo nemmeno si potesse fare il rap in italiano! Questo è dovuto al fatto che, in casa mia, non si ascoltava in generale molta musica italiana. I miei genitori sono entrambi marocchini, quindi dai zero ai cinque anni mi hanno fatto ascoltare costantemente musica araba. C’è da dire, però, che mio padre era un compratore compulsivo di cd che spaziavano magari da Celine Dion ai Blondie, fino a Bob Marley – artisti che tra loro sono completamente diversi. Mio papà, quindi, ascoltava anche molta musica occidentale, a differenza di mia madre, più sull’orientale. Per un certo periodo della mia vita io sono stata immersa così nelle più disparate influenze musicali. Dev’essere anche per questo che durante la mia adolescenza sono passata dall’ascoltare il pop al punk, dal rock al gospel, finché ad un certo punto mi sono detta addirittura che non avrei più voluto fare musica, visto che non sapevo bene verso quale genere indirizzarmi. A Londra ho ascoltato molto jazz, un po’ di reggae, fino a raggiungere lo stadio di adesso, più vicino all’r’n’b internazionale, che comunque si evolve di continuo.
- Ricollegandomi alla tua canzone “Sesso con me”, sembra di percepire da parte tua il desiderio di parlare liberamente della sessualità femminile. Da cosa nasce questo bisogno?
- Diciamo che c’è un’ipocrisia di fondo, generalizzata, nella nostra società. La donna oggi ha apparentemente gli stessi diritti di un uomo, perlopiù. Diciamo che di base c’è una sorta di uguaglianza. Solo che, in ogni caso, c’è così tanta pressione verso la donna, e spesso proprio da parte della donna in sé, che rivendica la sua indipendenza e la sua libertà di essere, ma allo stesso tempo ha anche paura di dire cosa ne pensa del sesso, paura del giudizio da parte dell’uomo e della donna stessa. “Sesso con me” è una sorta di rompighiaccio, della serie: “Sono una donna, a me piace fare del sesso, anche se tu non sei il mio compagno ma soltanto uno che mi piace”. Non parlo di un’esperienza personale, ma un modo di fare capire alla donna che può essere libera di fare ciò che vuole, di essere sensuale senza per forza essere anche volgare… cosa che tante donne invece non riescono ad esprimere.
- Non pensi che, invece, certe volte alcune cantanti pop-r’n’b o rapper finiscano per parlare di sesso in maniera caricaturale, esagerata, come tanti colleghi uomini, e non in una maniera più vivida o realistica?
- Credo dipenda dalle varie realtà. Ad esempio esistono cantanti e rapper donne – magari americane – che, essendo cresciute in un determinato ambiente, hanno sviluppato in modo spontaneo una certa attitudine. Perciò se in Italia una ragazza cerca di imitare a tutti i costi questo genere di attitudine, senza tuttavia avere lo stesso background, storco un po’ il naso. In America, ad esempio, ci sono determinati quartieri dove le ragazze crescono come gli uomini, sono tough. In Italia, perlopiù, queste situazioni sono limitate. Penso comunque che in certi casi ci sia molta caricatura, e il messaggio sia troppo volgare perché non è realistico, è poco autentico.
- Mi sembra che in alcune occasioni ti capiti di parlare di relazioni amorose “tossiche”. Per te quindi la musica è anche un modo per comprendere meglio il tuo vissuto e cercare, magari, di affrontare i tuoi traumi per superarli?
- Diciamo che voglio sdrammatizzare l’argomento. Ho quasi ventisei anni e, guardandomi indietro, è grazie agli errori se sono felice di cosa sono diventata. La Hasna è più che altro un alter ego che mi sono creata quando canto, un alter ego di una donna vissuta – anche se magari ancora oggi sto facendo degli errori. È una donna a cui piace parlare degli uomini, della luna, del fatto che sia collegata con le stelle – nei prossimi pezzi si parlerà del fatto che è una donna molto astrale – una sorta di dea. Quando canto non mi sento me, ma vedo un’altra persona con più forza. E quando parla di uomini e di relazioni, lei è molto bella. Quasi una sorta di maga. A volte non parlo di cose che mi sono realmente successe, ma è piuttosto un miscuglio di storie che assorbo da altre persone. Non riguardano cose accadute nel periodo in cui ho scritto una certa canzone, però magari ho empatizzato con cose accadute a chi mi è vicino. Perciò non direi che scrivo canzoni con l’obiettivo di superare dei miei traumi personali, ne parlo più in generale.
- In “Silvio”, l’ultima canzone che hai pubblicato, racconti una storia in cui, dopo aver bevuto un drink che ti ha dato alla testa, in preda ai fumi dell’alcol implori Berlusconi di farti tua. Com’è nato questo concept scherzoso?
- L’idea di “Silvio” è nata assieme a Salam. Quando è nato il pezzo io non ero certa di cosa scrivere, perché era abbastanza dinamico, ed ero scettica. Però ci siamo detti di provare a creare qualcosa che fosse catchy, ma anche promozionale, usando un nome provocatorio che inducesse la gente ad interessarsi. Allo stesso tempo non volevo scrivere qualcosa che avesse connotazioni politiche, cadendo nella polemica. Volevo soltanto usare il suo nome per esprimere lo status che desidererei raggiungere. Ho stima dei leader politici – al di là della politica – per dove sono arrivati. Per me Silvio non ha una forma precisa, rappresenta piuttosto una sorta di energia astratta, dotata bene o male di charme e di intoccabilità… le stesse doti che, tralasciando il lato politico, vorrei ottenere io. Inoltre, nel video che accompagna la canzone, mi si vede rappresentata come una ragazza piccola e indifesa, che si fa abbindolare e drogare da un’altra persona – in realtà è una rappresentazione di una persona indifesa che, nella società, finisce per farsi manipolare. In questo caso, vorrei poter essere così potente da non cadere nelle trappole della società medio-bassa, dove tutti cercando di scannarsi l’un l’altro, ma è come se le persone più in alto non ne venissero toccate. Anche da questo punto di vista non ho voluto intendere niente di politico. Ho usato il nome di Silvio perché mi sembrava il modo più facile per rappresentare questo ideale.
- So che poco tempo fa sei stata selezionata come “Artista del mese” da Mtv New Generation, progetto che si occupa di promuovere nuovi talenti musicali. Cos’ha significato ottenere il riconoscimento di un canale che è stato così importante per la cultura pop di noi “millennials”?
- Non mi aspettavo di essere scelta! Ancora adesso fatico a crederci – anche perché non mi sono ancora vista in onda su Mtv, pure se ho ricevuto messaggi da tanti amici che invece mi hanno vista. Addirittura ho pianto. Si tratta del video in cui mi trovo in Marocco, nella città natale di mia madre. Da piccola guardavo sempre Mtv, e sognavo di apparire lì. Adoravo programmi come Mtv Generation. Poi c’era VH1, dove trasmettevano le biografie degli artisti, realizzate molto bene. Spesso in sottofondo si sentivano strumentali r’n’b. Mi piaceva perché, improvvisamente, sentivo come suonava la musica senza che sopra ci fosse la voce di qualche cantante.
- Se ti va, ora puoi congedarti parlando dei tuoi futuri progetti musicali.
- Dovrebbero essere previsti alcuni concerti per febbraio, di cui darò notizia precisa attraverso i miei social. Poi ho diversi progetti che non sono ancora confermati. Ho sei canzoni nuove, però uscirà prima un nuovo video a marzo, che sarà bello tosto. Il progetto di “Colpo di scena” era un intermezzo. Quello che invece farò uscire avrà una sonorità meno trap, musica più da letto – magari da ascoltare fumando un po’.